Qualcuno ha scritto che, nel creare il suo universo
fantastico, Howard abbia operato una sorta di rivoluzione nella Fantasia
Eroica, sconvolgendo l’immagine del cavaliere senza macchia e senza paura che
fino allora aveva popolato la letteratura di genere. Gli eroi che popolano i
mondi evocati da Howard, infatti, sono ben lontani da quello stereotipo; sono
protagonisti in un certo senso “negativi”, pur rispecchiando alcuni ideali
propri delle figure che vestono. Conan è dotato certamente di tutti i tratti
positivi “propri” di un barbaro, come coraggio, lealtà e generosità verso gli
amici, rimanendo tuttavia un mercenario rozzo e incolto, un furfante che non si
tira indietro di fronte al furto, alla rapina o all’assassinio se finalizzato a
un proprio tornaconto.
E allo stesso modo i suoi altri personaggi
rispecchiano la stessa linea di condotta: Solomon Kane è un maniaco mosso dal
fanatismo religioso più che da un sano senso di giustizia; Kull è un selvaggio
indomito e ribelle; Almuric un condannato a morte; Bran Mah Mom un sanguinario;
De Montour un licantropo; Costigan un drogato all’ultimo stadio.
Questa tendenza a uscire dai canoni, fa sì che la
letteratura Howardiana si allontani dalla comune Fantasia Eroica, banale e
prevedibile nei suoi confini, narrando storie fatte di uomini, passioni e veri
sentimenti, forti e incisivi, scostandosi da un mondo fino allora fatto di
piatti ideali.
Ma chi era Robert Ervin Howard?
Howard nacque a Peaster, nel Texas, il 22 gennaio del
1906, figlio di un medico condotto trasferitosi da poco nella cittadina. La sua
famiglia si stabilì di lì a poco a Cross Plains, un villaggio non molto lontano,
dove lo scrittore avrebbe trascorso tutta la sua vita.
Iniziò a scrivere a quindici anni, e già a
diciannove la rivista Weird Tales pubblicò un suo racconto, “Spear and Fang”.
Era il luglio del 1925.
Howard era un ragazzone alto e robusto, con una
forte muscolatura sviluppata grazie ad un’intensa attività sportiva. La sua
personalità, però, era fragile e caratterizzata da accesi eccessi d’ira
contrapposti a lunghi periodi di depressione. La fragilità e la timidezza,
propria del suo carattere, lo portarono spesso a rifugiarsi nella fantasia e a
riprendersi, con essa, ciò che la sua insicurezza aveva sottratto alla vita.
Dotato di un’accesa ed eclettica fantasia, scriveva
di getto storie appassionate di eroi possenti e bellissime donne; scriveva di
ogni genere narrativo sperimentando storie di ogni tipo con ambientazioni
sempre diverse. Il suo stile acerbo gli precluse la pubblicazione sulle più
celebri riviste d’avventura dell’epoca, come Argosy e All-Story. Fu così che
decise di ripiegare su Weird Tales, della quale divenne presto una delle
colonne portanti.
Iniziò a farsi conoscere al suo pubblicò nel 1926
con il racconto “Wolfshead”, incentrato sulla figura di un licantropo in veste
positiva, ottimamente accolto dai lettori. Nel 1928 creò l’originalissimo
personaggio Solomon Kane, ottenendo effetti di grande suggestione e descrivendo
megalitiche città custodi di oscuri terrori pre-umani, come affermò H. P.
Lovecraft, in quel periodo vera autorità nella rivista di Henneberger.
La vera fama arrivò però nel 1932, quando azzeccò
la chimica giusta per i suoi racconti pubblicando su Weird Tales “The Phoenix
on the Sword”, la prima storia ad avere come protagonista Conan il Cimmero.
Tramite il barbaro Howard esplorò un intero mondo
fantastico esistito quindicimila anni fa, fra la caduta di Atlantide e la
nostra storia conosciuta. Con Kull arrivò a creare anche un universo
pre-atlantideo governato dagli ancestrali Sette Imperi, il più importante dei
quali era Valusia del quale l’eroe conquisterà il trono.
Fragile e morbosamente legato alla figura materna,
Howard accusò un durissimo colpo quando la donna si ammalò di cancro,
gettandolo in uno dei suoi periodi di buia depressione.
La mattina dell’11 giugno del 1936, gli
comunicarono che la madre era entrata in coma e che non si sarebbe più
risvegliata. Howard si sedette alla macchina da scrivere battendo solo poche
parole:
«Tutto è andato, tutto è finito: ponetemi sul rogo.
/ La festa è terminata e le lampade si estinguono.»
Salì in macchina e s’inoltrò nel deserto texano. Alle
otto di mattina si puntò la pistola alla tempia e tirò il grilletto.
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