lunedì 20 agosto 2012

Robert E. Howard, il Cimmero

di  Roberto Mancini

Qualcuno ha scritto che, nel creare il suo universo fantastico, Howard abbia operato una sorta di rivoluzione nella Fantasia Eroica, sconvolgendo l’immagine del cavaliere senza macchia e senza paura che fino allora aveva popolato la letteratura di genere. Gli eroi che popolano i mondi evocati da Howard, infatti, sono ben lontani da quello stereotipo; sono protagonisti in un certo senso “negativi”, pur rispecchiando alcuni ideali propri delle figure che vestono. Conan è dotato certamente di tutti i tratti positivi “propri” di un barbaro, come coraggio, lealtà e generosità verso gli amici, rimanendo tuttavia un mercenario rozzo e incolto, un furfante che non si tira indietro di fronte al furto, alla rapina o all’assassinio se finalizzato a un proprio tornaconto.
E allo stesso modo i suoi altri personaggi rispecchiano la stessa linea di condotta: Solomon Kane è un maniaco mosso dal fanatismo religioso più che da un sano senso di giustizia; Kull è un selvaggio indomito e ribelle; Almuric un condannato a morte; Bran Mah Mom un sanguinario; De Montour un licantropo; Costigan un drogato all’ultimo stadio.
Questa tendenza a uscire dai canoni, fa sì che la letteratura Howardiana si allontani dalla comune Fantasia Eroica, banale e prevedibile nei suoi confini, narrando storie fatte di uomini, passioni e veri sentimenti, forti e incisivi, scostandosi da un mondo fino allora fatto di piatti ideali.

Ma chi era Robert Ervin Howard?
Howard nacque a Peaster, nel Texas, il 22 gennaio del 1906, figlio di un medico condotto trasferitosi da poco nella cittadina. La sua famiglia si stabilì di lì a poco a Cross Plains, un villaggio non molto lontano, dove lo scrittore avrebbe trascorso tutta la sua vita.
Iniziò a scrivere a quindici anni, e già a diciannove la rivista Weird Tales pubblicò un suo racconto, “Spear and Fang”. Era il luglio del 1925.
Howard era un ragazzone alto e robusto, con una forte muscolatura sviluppata grazie ad un’intensa attività sportiva. La sua personalità, però, era fragile e caratterizzata da accesi eccessi d’ira contrapposti a lunghi periodi di depressione. La fragilità e la timidezza, propria del suo carattere, lo portarono spesso a rifugiarsi nella fantasia e a riprendersi, con essa, ciò che la sua insicurezza aveva sottratto alla vita.
Dotato di un’accesa ed eclettica fantasia, scriveva di getto storie appassionate di eroi possenti e bellissime donne; scriveva di ogni genere narrativo sperimentando storie di ogni tipo con ambientazioni sempre diverse. Il suo stile acerbo gli precluse la pubblicazione sulle più celebri riviste d’avventura dell’epoca, come Argosy e All-Story. Fu così che decise di ripiegare su Weird Tales, della quale divenne presto una delle colonne portanti.
Iniziò a farsi conoscere al suo pubblicò nel 1926 con il racconto “Wolfshead”, incentrato sulla figura di un licantropo in veste positiva, ottimamente accolto dai lettori. Nel 1928 creò l’originalissimo personaggio Solomon Kane, ottenendo effetti di grande suggestione e descrivendo megalitiche città custodi di oscuri terrori pre-umani, come affermò H. P. Lovecraft, in quel periodo vera autorità nella rivista di Henneberger.
La vera fama arrivò però nel 1932, quando azzeccò la chimica giusta per i suoi racconti pubblicando su Weird Tales “The Phoenix on the Sword”, la prima storia ad avere come protagonista Conan il Cimmero.  
Tramite il barbaro Howard esplorò un intero mondo fantastico esistito quindicimila anni fa, fra la caduta di Atlantide e la nostra storia conosciuta. Con Kull arrivò a creare anche un universo pre-atlantideo governato dagli ancestrali Sette Imperi, il più importante dei quali era Valusia del quale l’eroe conquisterà il trono.
Fragile e morbosamente legato alla figura materna, Howard accusò un durissimo colpo quando la donna si ammalò di cancro, gettandolo in uno dei suoi periodi di buia depressione.
La mattina dell’11 giugno del 1936, gli comunicarono che la madre era entrata in coma e che non si sarebbe più risvegliata. Howard si sedette alla macchina da scrivere battendo solo poche parole:

«Tutto è andato, tutto è finito: ponetemi sul rogo. / La festa è terminata e le lampade si estinguono.»

   Salì in macchina e s’inoltrò nel deserto texano. Alle otto di mattina si puntò la pistola alla tempia e tirò il grilletto.

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